25/04/10

ITALO CALVINO

Per Calvino bisogna parlare di un narratore di tantissimi romanzi, tra il genere realistico, quello fantastico e la sperimentazione;egli è inoltre stato  un formidabile saggista e intellettuale attento agli avvenimenti mondiali, che intervenne spesso sui giornali, insieme a Pasolini.

Il narratore realistico: Il sentiero dei nidi di ragno
Il sentiero dei nidi di ragno è il primo romanzo di Italo Calvino, scritto nel 1947, cioè quando l’autore aveva 24 anni e già collaborava con la casa editrice Einaudi occupandosi dell’ufficio stampa e della pubblicità. E' un romanzo di impianto neorealista (la corrente che dominò il dopoguerra, tra letteratura e cinema), mal’approccio dell’autore alla Storia è del tutto nuovo: il punto di vista della narrazione è quello d’un bambino, una volontaria regressione che permette di raccontare la guerra partigiana da una lontananza notevole e senza strumenti etici definiti
Pin ha circa dieci anni, ha perso i genitori, vive con la sorella che fa la prostituta, lavora presso la bottega di un calzolaio mentre il padrone è in prigione e desidera piacere ai grandi, al punto da fare una scommessa che gli costerà cara: per vincere, ruba la pistola all’amante della sorella, la favolosa P38 e la nasconde nel suo luogo segreto, il sentiero dei nidi di ragno che è per lui un rifugio e una “palestra” di crudeltà. Qui vige la legge della natura selvatica e incontaminata, qui il bambino replica ciò che vede fare ai grandi, applica il diritto del più forte massacrando rane, ragni e grilli. La bravata della pistola conduce Pin in prigione, e poi, in seguito all’evasione con il partigiano Lupo Rosso, nel cuore della Resistenza, sulle montagne liguri.
Un romanzo antiretorico e aspro. Calvino adotta una lingua dimessa eppure esatta e oggettiva, e descrive anche gli aspetti violenti della Resistenza.  Il romanzo di Calvinoha  un una posizione eccentrica rispetto all'affermarsi del Neorealismo in quegli anni.
I personaggi ritratti sono umili; c'è un solo intellettuale, il quale si incarica un po' di sintetizzare l'intera morale della faccenda; si tratta del commissario di brigata Kim, un giovane un po' medico e un po' filosofo.
Egli comprende, con la forza dialettica del proprio pensiero, che dentro la Resistenza ci sono tante anime, ma anche un denominatore comune, una motivazione fortissima: la speranza, per tutti, di un riscatto.  


 Il narratore fantastico: Il cavaliere inesistente  


Sotto le rosse mura di Parigi era schierato l’esercito di Francia. Carlomagno doveva passare in rivista i paladini. Già da più di tre ore erano lì; faceva caldo; era un pomeriggio di prima estate, un po’ coperto, nuvoloso; nelle armature si bolliva come in pentole tenute a fuoco lento. Non è detto che qualcuno in quell’immobile fila di cavalieri già non avesse perso i sensi o non si fosse assopito, ma l’armatura li reggeva impettiti in sella tutti a un modo.

Provai a scrivere altri romanzi neorealistici, su temi della vita popolare di quegli anni, ma non riuscivano bene [...]. Era la musica delle cose che era cambiata: la vita sbandata del periodo partigiano e del dopoguerra s’allontanava nel tempo [...]. Così, in uggia con me stesso e con tutto, mi misi, come per un passatempo privato, a scrivere Il visconte dimezzato [...]
Così scrive lo stesso Italo Calvino nella Postfazione ai Nostri antenati (1960). La Trilogia Araldica nasce dunque dall’esigenza di Calvino di scrivere non quello che l’ambiente culturale e politico s’aspetta dalla sua penna, ma quello che la sua ispirazione, la sua passione, e le sue letture giovanili comandano. D’altro canto, è bene comprendere come la Trilogia Araldica non sia un favolistico passatempo che esula dalla contemporaneità dello scrittore, anzi, l’opera si ricongiunge alla dimensione non solo per certi versi politica, come nel caso del Visconte dimezzato (per prendere i due apici che aprono e chiudono la raccolta), ma anche, nel caso del nostro romanzo,Il cavaliere inesistente (1956), all’individuo umano e alla sua situazione coeva.
Dall’uomo primitivo che, essendo tutt’uno con l’universo, poteva esser detto ancora inesistente perché indifferenziato dalla materia organica, siamo lentamente arrivati all’uomo artificiale che, essendo tutt’uno coi prodotti e con le situazioni, è inesistente perché non fa più attrito con  nulla, non ha più rapporto (lotta e attraverso la lotta armonia) con ciò che (natura o storia) gli sta intorno, ma solo astrattamente “funziona”.
L’inesistenza e l’esistenza, quello che c’è e quello che non c’è. «Questo nodo di riflessioni», dice sempre Calvino«s’era andato per me a poco a poco identificando con un’immagine che da tempo mi occupava la mente: un’armatura che cammina e dentro è vuota». Siamo al tempo di Carlomagno, dei cavalieri erranti, trattati però (e non poteva essere altrimenti) col riso, parodizzati sia nella caratterizzazione fisica e comportamentale, sia nelle vicende e sia da un punto di vista propriamente linguistico-retorico. Ed a cavallo tra la parodia e l’intertestualità (quest’ultima che prende forma nei molteplici rimandi all’Orlando furioso e alla Gerusalemme liberata), la crisi dell’identità si fa evidente da subito nella figura di Agilulfo, il cavaliere che non c’è, perfettamente introdotto dal suo scudo che, con quel suo stemma mise en abyme (per rimanere al più evidente dei significati), giunge ad essere indistinguibile. Dice ancora Calvino:
Agilulfo, il guerriero che non esiste, prese i lineamenti psicologici d’un tipo umano molto diffuso in tutti gli ambienti della nostra società [...] (inesistenza munita di volontà e coscienza). Dalla formula Agilulfo ricavai, con un procedimento di contrapposizione logica, [...] la formula esistenza priva di coscienza, ossia identificazione generale col mondo oggettivo, e feci lo scudiero Gurdulù.
Pubblicato nel 1959, Il cavaliere inesistente, che fa parte della trilogia I nostri Antenati, ci conferma la vena favolistica di Calvino.Il romanzo narra le vicende di Agilulfo, paladino di Carlomagno, che se ne va in giro, insonne, in una lucida armatura bianca, incline alle azioni perfette e alla nobiltà d'animo, pronto a raddrizzare torti, tutto spirito e razionalità, ma con un difetto: non esiste, o meglio la sua consistenza non è altro che la sua armatura vuota.
Innamorata di Agilulfo è  Bradamante, ammirata dello spirito di perfezione del cavaliere e stanca della carnale pesantezza degli altri uomini.
Altri personaggi significativi del racconto sono: lo scudiero del cavaliere, Gurdulù, che gli è complementare, vale a dire è tutto corpo, carnalità e natura, senza un briciolo di coscienza; Rambaldo, un giovane ardente, animato da smania di battaglie e di amori, che vuole vendicare il padre ucciso dagli infedeli; Torrismondo, alla ricerca delle proprie origini
L'intreccio è svelato dalla monaca Suor Teodora, che scrive dall'interno di un convento, la quale si rivelerà poi essere, nel finale, nientemeno che Bradamante e ha come sfondo la guerra fra i cristiani e i mori.
Dietro la piacevolezza avventurosa e nello stesso tempo comica del racconto, sotto l'apparente divertimento dell'autore, affiora l'angosciosa raffigurazione dell'uomo moderno, la sua impossibilità di essere autentico, l'identità incerta e vacillante di ognuno di noi, la fuga nella nevrosi, nella maschera del proprio ruolo sociale, o peggio ancora, nell'incoscienza.

Una semplicità soltanto apparente, quella di Calvino, un sorriso che disvela la triste condizione dell'uomo contemporaneo, l'universale fuga da se stessi, l'insensato dibattersi delle nostre vite ("Non c'è senso in nulla", disse Torrismondo).

Il racconto è accompagnato dalle intelligenti annotazioni sulla scrittura, i suoi moventi e le sue difficoltà, compiute dalla voce narrante,  Suor Teodora, che produce così un sottotesto sul ruolo dello scrittore, sull’esercizio narrativo, sulle potenzialità dello scrivere e sui rapporti tra scrittura e vita.
Il linguaggio utilizzato da Calvino è un italiano "medio", arricchito da vocaboli provenienti dai linguaggi settoriali relativi a diverse discipline (la gastronomia, le armature antiche, ecc.).

Video da Cult Book sul cavaliere inesistente: 
http://www.youtube.com/watch?v=QhInPTESfE8


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Il tema della percezione e’ un elemento centrale di Palomar, di Italo Calvino. Si prenda ad esempio il terzo racconto del libro, ‘La spada del sole’:

“…Il riflesso sul mare si forma quando il sole s’abbassa: dall’orizzonte una macchia abbagliante si spinge fino alla costa, fatta da tanti luccichii che ondeggiano; tra luccichio e luccichio, l’azzurro opaco del mare incupisce la sua rete… E’ l’ora in cui il signor Palomar, uomo tardivo, fa la sua nuotata serale. Entra nell’acqua, si stacca dalla riva, e il riflesso del sole diventa una spada scintillante nell’acqua che dall’orizzonte si allunga fino a lui. Il signor Palomar nuota nella spada o per meglio dire la spada resta sempre davanti a lui, a ogni sua bracciata si ritrae, e non si lascia mai raggiungere…Mentre il sole scende verso il tramonto, il riflesso da bianco-incandescente si colora d’oro e di rame. E dovunque il signor Palomar si sposti, il vertice di quell’aguzzo triangolo dorato e’ lui; la spada lo segue, indicandolo come la lancetta dell’orologio che ha per perno il sole…’.
La riflessione di Calvino riguarda il tema dell’illusione delle immagini mentali, originate dai segnali luminosi che impattano sulla retina, trasformatisi in impulsi elettrici lungo il nervo ottico e solo successivamente ricostruite dalla materia cerebrale.
“Tutto questo avviene non sul mare, non nel sole – pensa il nuotatore Palomar- ma dentro la mia testa, nei circuiti tra gli occhi e il cervello. Sto nuotando nella mia mente; e’ solo la’ che esiste questa spada di luce; e cio’ che mi attira e’ proprio questo”.
La spada del sole e’ propriamente un’illusione, un’immagine costruita dalla mente, a cui non corrisponde nulla.
C’e’ un brano de Il Saggiatore di Galileo Galilei che presenta una forte analogia con il testo di Calvino. Il brano si trova nella sezione 21, in cui Galileo discute il carattere illusorio delle comete. Incidentalmente, Galileo aveva una teoria errata di questi fenomeni celesti. Per Galileo le comete erano illusioni ottiche, riflessi solari negli alti vapori atmosferici; fatte, verrebbe quasi da dire, della stessa sostanza dei sogni. Illusioni, dice Galileo, in definitiva create dai nostri sensi, prodotte dal nostro ‘corpo sensitivo’. Se questo improvvisamente ci fosse tolto, ecco che sarebbero “levate ed annichilate tutte queste qualita’”, niente “altro che puri nomi”, percezioni prive di un riferimento esterno.
Quale esempio usa Galileo per descrivere il carattere illusorio di questi oggetti celesti? Quello della ‘spada del sole’.
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Vedi anche questo ottimo IPERTESTO su CALVINO con molte citazioni

e per la biografia/cronologia vai a ITALICA RAI Grandi narratori del 900

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