23/12/11

Carlo Levi, Cristo si è fermato ad Eboli

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La scoperta del problema meridionale non solo come episodio di una condizione arcaica, intollerabile nella nostra società, ma anche come teatro di una straordinaria civiltà contadina.





Carlo Levi nasce a Torino il 29 novembre 1902, abbandonata la professione di medico e si dedica con successo alla pittura e alla letteratura. Per avere svolto attività antifascista nelle file di Giustizia e Libertà, nel 1935 è confinato in Lucania, prima a Grassano, poi a Gagliano, dove rimane per un anno. 
                               



Il meridionalismo dell'etnologo Ernesto De Martino

Se il Meridione d'Italia costituiva da tempo un problema nella coscienza di storici, economisti, sociologi, nessuno aveva fin allora affrontato nella sua autonomia il problema della "cultura" contadina del Sud, vista come complessa e specifica concezione del mondo e collocata sul fondo di una società storicamente determinata. Lì de Martino sentì l'urgenza di colmare questo vuoto. 
Oltre che dall'esperienza della militanza politica, egli fu indotto a questa scelta anche dalla convergenza di alcuni altri fattori o eventi: in particolare l'uscita del Cristo si è fermato a Eboli di Carlo Levi nel 1945 e il conseguente incontro con Levi; l'incontro con Rocco Scotellaro, poeta-contadino lucano, e infine l'uscita dei Quaderni del carcere di Antonio Gramsci nel 1948. 
Scoperta - anche attraverso Levi e Scotellaro - la drammatica umanità di quel mondo subalterno, il de Martino si avviò al suo compito di analisi e interpretazione, valendosi degli strumenti offertigli dalla sua consapevolezza di storico, dalle tecniche della ricerca etnologica .
Le origini, il significato, il persistere di credenze e pratiche magico-religiose arcaiche tra i ceti rurali del Sud sono infatti studiati dal de Martino nel contesto di una storia sociale che ne costituisce la base determinante. Cosi, con una serie di missioni etnografiche dai primi anni '50, egli raccolse una quantità di documenti relativi a manifestazioni magico-religiose e ne studiò le origini storiche, i rapporti con le condizioni storiche e sociali attraverso i secoli, i motivi impliciti che ne giustificavano il persistere. Tutti i fenomeni posti al centro della sua indagine avevano in effetti origini arcaiche, precristiane, da un antico fondo di civiltà agrarie, ed erano stati a lungo oggetto di polemiche, di repressioni, di interventi adattivi da parte della Chiesa ufficiale. Oggetto della sua investigazione particolarmente furono: il complesso mitico-rituale della fascinazione in Lucania (Sud e magia, Milano 1959); le persistenze del pianto funebre in Lucania (Morte e pianto rituale nel mondo antico, Torino 1958); il tarantismo del Salento (La terra del rimorso, Milano 1961). 

18/10/11

ULTIMI CANTI DEL PURGATORIO

Sintesi e commento del trentaduesimo canto del Purgatorio 



Canto XXXII
Le figure femminili che simboleggiano le sette virtù invitano Dante a distogliere il suo sguardo da Beatrice per volgerlo alla processione, la quale, in questo momento, riprende a muoversi in direzione opposta rispetto a quella prima seguita; finché tutti i suoi membri si fermano intorno a un albero altissimo e spoglio di fronde. Dopo che il grifone vi ha legato il suo carro, la pianta rinasce a nuova vita, coprendosi di fiori e di foglie. Il canto dolcissimo innalzato dai personaggi del corteo provoca in Dante una specie di tramortimento, e, quando si risveglia, Matelda gli indica Beatrice che siede sotto l'albero circondata dalle sette virtù, mentre i ventiquattro seniori, il grifone e gli altri componenti del corteo risalgono al cielo. 
La seconda parte del canto è occupata dalla rappresentazione delle vicende del carro della Chiesa attraverso successive allegorie. Dante ricorda - con la figura dell'aquila - le persecuzioni portate contro i primi cristiani e con l'immagine della volpe il diffondersi delle eresie; in un secondo tempo l'aquila - simbolo dell'Impero - ritorna e lascia sul carro una parte delle sue penne, per indicare il potere temporale di cui fu investita la Chiesa dopo la donazione territoriale fatta dall'imperatore Costantino a papa Silvestro. Poi un drago, che rappresenta Satana, esce improvvisamente dalla terra e, dopo aver colpito con la coda maligna il carro, si allontana pieno di soddisfazione. L'immagine della Chiesa si trasforma infine in una figura mostruosa, dotata di sette teste e dieci corna: su di lei siede una sfrontata meretrice, a fianco della quale compare un gigante, che flagella ferocemente la donna subito dopo che questa ha volto il suo sguardo verso Dante.
Il canto termina mostrando il gigante che stacca dall'albero il carro della Chiesa per trascinarlo nella selva.
Introduzione critica
Il discorso esegetico intorno al canto XXXII potrebbe allargarsi indefinitamente, perché esso si trova di fronte, ancora una volta, al problema dei rapporti fra allegoria e storia - entrambe presenti in modo preponderante in questo canto - e a quello della loro trasformazione in termini poetici. La vastità e la complessità di una simile indagine possono, tuttavia, spiegare i risultati diversi, per non dire opposti, ai quali é pervenuta la critica. É evidente, infatti, che la sola analisi estetica, di ascendenza romantica, non possa trovare che brevi momenti di « poeticità », considerando il resto del canto una confusa e macchinosa costruzione. D'altra parte risponde ad un saggio criterio di lettura evitare una eccessiva storicizzazione del carro XXXII, giudicandolo solo una manifestazione dell'ansia di rinnovamento - in campo ecclesiastico e politico - assai diffusa ai tempi di Dante o, peggio, confinandolo al rango di una delle tante pagine visionarie delle quali il Medioevo si é mostrato fecondo. Quanto si compie nell'alta selva vota ripropone l'atmosfera gravida di tensione della selva oscura del I canto dell'Inferno, perché vi riecheggia lo stesso stimolo ad una azione vigorosa contro il peccato, lo stesso senso di attesa di fatti futuri destinati a sconvolgere il corso degli eventi, le stesse immagini di male (alla lupa che di tutte brame sembiava carca nella sua magrezza e molte genti fe' già viver grame si contrappone la volpe che «si avventa» e che d'ogni pasto buon parea digiuna), ma soprattutto perché vi si ribadisce la missione profetica dal Poeta assunta in pro del mondo che mal vive fin dalle prime battute della Commedia. "Dante non fu il primo a presentare la sua interpretazione come autentica, essendo l'appello all'autorità divina il modo naturale e normale nella civiltà medievale come ai tempi della profezia ebraica, di esprimere forti convinzioni politiche. Certo, pochissimi fra i predecessori di Dante si erano spinti fino a pretendere che una rivelazione speciale era stata loro largita, e mai prima di lui una tale pretesa era stata manifestata con altrettanta unità enciclopedica di visione e con altrettanta forza d'espressione poetica." (Auerbach)  
La trama del canto XXXII, non può non richiamare tutta la letteratura allegorica, profetica, apocalittica che fu propria del Medioevo e che trovò la sua espressione più famosa negli scritti di Gioacchino da Fiore, soprattutto nel momento in cui, di fronte alla dilagante corruzione morale della Chiesa, al venir meno di ogni ordine civile e alla mancanza di una salda guida politica, da ogni parte si invocava un rinnovamento dei costumi ecclesiastici e una rinascita del potere imperiale. Dante, dalla ricchissima simbologia del suo tempo, che investiva non solo la letteratura ortodossa e riformatrice, ma anche le figurazioni artistiche, ha scelto forse gli archetipi più rappresentativi, dai quali deriva il "carattere, oltre che drammatico, anche spiccatamente « visivo » e descrittivo di questa poesia, con cui si accorda l'idea e l'efficacia figurale, pittorica e plastica della parola, quella disposizione a fissare immagini, linee e colori, in movimento, che in questo canto XXXII s'intensifica in virtù animatrice, in vicenda di drammaticità allucinante, in rapida magia di azioni sceniche" (Grana).

11/02/11

Gabriele D'Annunzio























Commento a "La pioggia nel pineto" di Paolo Gibellini nella sua introduzione ad ALCYONE, Einaudi:


"Una pioggia estiva sorprende il poeta e la donna che ha nome Ermione sul limitare d’una pineta non lontana da Marina di Pisa. Il suono della pioggia, prima rada poi fitta, varia di timbro secondo la densità del fogliame ch’essa percuote; alla voce della pioggia risponde il frinire delle cicale, che scema fino a spegnersi vinto dal croscio della pioggia crescente, sostituito da un lontano gracidio di rane. È questo il tema sonoro della lirica, valicante nell’invenzione della fantasia e del desiderio metamorfico la più prodigiosa mimesi del dato reale. La pineta percossa dalla pioggia è avvertita come un’orchestra arborea di strumenti diversi (tamerici, pini, mirti, ginestre, ginepri), ciascuno dotato d’una sua voce, cui s’accosta quella delle cicale, insieme corale sinfonia su cui si leva, nel crescendo della voce della pioggia e nel diminuendo della voce delle ciacel, l’a solo della rana. […] Ma al tema sonoro è intrecciato quello sensitivo, connesso all’arsura estiva, preludio implicito della lirica, in quanto destante il desiderio della pioggia, donde poi la gioia del refrigerio. Ed è il refrigerio della pioggia, comune alle piante e al poeta che con la sua compagna erra in ascolto per la pineta, ad assimilare alle creature vegetali gli umani, che della metamorfosi silvana avvertono l’ebbrezza: agli occhi del poeta, Ermione, fatta virente (v. 100), pare erompere, novella amadriade, d’una corteccia, e anch’egli si sente della medesima sostanza della pineta. L’isolato Taci incipitario, che impone un silenzio raccolto e una tensione uditiva (Ascolta, v. 8 e passim), segna già l’inizio di un’insolita vibrazione entro le creature umane che sentono la vita arborea estendersi al loro essere. Il panismo alcionio è preannunciato nel Fuoco [romanzo di d’Annunzio pubblicato nel 1900]: «So per prova quale effetto benefico venga a noi dal comunicare intensamente con una cosa terrena. Bisogna che la nostra anima divenga, a quando a quando, simile all’amadriade per sentir circolare in sé la fresca energia dell’albero convivente». […] Giunta alla sua acme, il sentimento panico, la Pioggia, circolare melodia qual è, si chiude musicalmente con la ripresa di un’intera frase iniziale: E piove su i nostri volti | silvani…, che nel suono protrae lo stato di ebbrezza panica goduto nelle strofe precedenti".
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E' interessante il legame tra poesia e musica: esiste ad esempio un
carteggio tra D'Annunzio e Debussy

e puoi ascoltare di Debussy JARDINS SOUS LA PLUIE

Sono molti i siti dedicati a D'Annunzio:


http://www.gabrieledannunzio.net/index.htm

http://www.italica.rai.it/argomenti/grandi_narratori_900/speciale_dannunzio.htm


http://www.letteratura.it/dannunzio/index.htm


UN GIRO AL VITTORIALE....


Il decadentismo

Definizione del termine "decadentismo" e origine


Il termine «decadente» ebbe in origine senso negativo. Fu infatti rivolto polemicamente contro alcuni poeti che esprimevano lo smarrimento delle coscienze e la crisi di valori del tempo, avvertendo, di là dall'ottimismo ufficiale e spesso ipocrita della società, il fallimento del sogno positivistico.
Ma quegli scrittori fecero della definizione una polemica insegna di lotta, in cui si gettavano, di fatto, i fondamenti d'una nuova visione del mondo e d'una nuova realtà. Essi ebbero  la coscienza di vivere un'età di trasformazioni e di trapasso, si sentirono insomma gli scrittori della crisi, e avvertirono che il loro compito non era quello di proporre nuove certezze, ma di approfondire i termini esistenziali di questa crisi sul piano conoscitivo.
MOVIMENTI LETTERARI LEGATI AL DECADENTISMO
Il Decadentismo è un fenomeno complesso, polivalente nella sua multiforme tematica, nei suoi esiti artistici, nei suoi valori e disvalori, pertanto non c'è, come nel Romanticismo o nel Naturalismo, una poetica che faccia da punto di riferimento comune al variare delle singole esperienze. Abbiamo piuttosto varie direzioni di ricerca, una proliferazione di poetiche, che possono in parte legarsi a due movimenti culturali della letteratura europea: il simbolismo e l'estetismo. Anche in Italia non è possibile ritrovare una corrente letteraria unificante, ma piuttosto poetiche individuali che si rifanno ai miti italiani: quella del «superuomo» in D'Annunzio, del «fanciullino» in Pascoli- Una reazione a questi miti, all'affermazione eroica dell'io, è rappresentata dalla poesia dei crepuscolari italiani che si rifanno ai temi del decadentismo francese.
Accomuna queste esperienze la ricerca di nuovi strumenti espressivi, il rigetto della cultura positivista e il rifiuto spesso aristocratico della società contemporanea in ciò che essa ha di abitudinario, di etica comune, di valori diffusi a livello di massa.
Riconducibile al decadentismo è anche il nascere delle avanguardie, cioè di movimenti che pur con grande diversità di poetiche, mirano alla sperimentazione di nuove tecniche espressive che, muovendo tutte da premesse irrazionalistiche, segnino una radicale frattura col passato e siano voce e testimonianza della consapevolezza della crisi. E' un'esplosione che dura suppergiù fino agli anni '30 e comprende le cosiddette "avanguardie storiche": il FUTURISMO, L'ESPRESSIONISMO, IL DADAISMO, IL SURREALISMO .

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Vedi anche la voce CREPUSCOLARISMO
(da Scuolalieta.it Home Page) 

02/01/11

LA SCUOLA DEL DOLORE