19/09/14

Appunti su Illuminismo e Romanticismo


Gennaro Tedesco - 18-01-2014
Se l'Illuminismo sembra essere un tipico movimento intellettuale progressista, non dobbiamo credere che il Romanticismo sia necessariamente il contrario.
L'illuminismo nasce e si sviluppa per opera di intellettuali europei della fine del ' 700 in funzione del riconoscimento oggettivo, politico dello status di classe generale ed egemone della borghesia europea.
La genericità dello slogan rivoluzionario caratteristico della Rivoluzione francese , libertà, uguaglianza e fraternità, non è a caso. Questi tre valori così generici e vaghi servono ad aggregare il consenso intorno ad una borghesia che, altrimenti, farebbe fatica ad ottenerlo.
Una volta che, però, la spinta ideologica e rivoluzionaria della borghesia francese si è esaurita, ad esempio l'Italia e la Germania, o meglio, gli intellettuali borghesi di questi due Paesi, scoprono si di aver contribuito all'affermazione della borghesia , ma di quella francese. Di qui, nei confronti dell'Illuminismo, più che una delusione, una revisione di certi atteggiamenti critici ed ideologici che passa attraverso un ventaglio di posizioni diversificate: il Romanticismo.
Se in Francia per parecchi intellettuali borghesi (Chateaubriand o in Savoia De Maistre) il nuovo ricompattamento intorno al Romanticismo significa il ritorno all'Ancien Règime, alla tradizione legittimistica cattolica e l'accettazione quasi entusiastica della Restaurazione metternichiana, in Germania, ma soprattutto in Italia, il Romanticismo assume dimensioni e sviluppi del tutto diversi e progressivi.

In Italia il Romanticismo diviene un correttivo dell'Illuminismo.
I valori antifeudali ed antiaristocratici, utilitaristici, della Rivoluzione francese non vengono perduti, anzi rafforzati dalla scoperta romantica del popolo nella sua dimensione originaria e nazionale. Ed è proprio il clima della Restaurazione metternichiana che rende sempre attuali in Italia quei valori eversivi della Rivoluzione francese corretti da un ritrovato spirito nazionale e quindi antiaustriaco della nostra intellettualità borghese. Nell'Italia della Restaurazione lo spirito rivoluzionario borghese della Rivoluzione francese diviene patrimonio del movimento nazionale borghese antiaustriaco.
La borghesia italiana comincia ad acquisire i tratti di una vera e propria borghesia proprio nel momento in cui rivendica la propria identità nazionale contro l'Austria nel periodo della Restaurazione metternichiana .
Un passo decisivo verso la ricerca di uno status ricapitolativo della situazione della borghesia italiana nel periodo del Romanticismo è dato dai " Promessi Sposi " di A. Manzoni. Nel romanzo storico di Manzoni troviamo i tratti distintivi dell'Illuminismo e del Romanticismo italiano: ricerca di un nuovo "rivoluzionario " linguaggio che sfocia nell'introduzione della lingua dell'uso contro l'accademismo linguistico, conseguente individuazione di un nuovo pubblico in senso lato borghese , formazione di un'opinione pubblica italiana che nella coincidenza della novità linguistica con i contenuti storico-nazionali (rifiuto istintivo dell'occupazione spagnola dell'Italia del '600, protagonismo sociale dei così detti " umili ", realismo) più facilmente e per la prima volta trova se stessa.

LINEA DEL TEMPO TRA OTTO E NOVECENTO





(TRATTO DA http://www.valsesiascuole.it/crosior/)

23/04/14

Gli eredi di Leopardi


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Un’eredità difficile:voci del Novecento a confronto con  Giacomo  Leopardi sui falsi miti dell’uomo
 (Liceo Fermi)

Che Giacomo Leopardi sia stato considerato fin dall’Ottocento uno dei capisaldi per la costruzione dell’identità nazionale italiana è fuori discussione: il poeta filosofo è stato incluso in tutti i canoni di letteratura italiana elaborati sin d’allora, così come spesso ha trovato posto – certo meno di quanto meriterebbe – nella storia del pensiero. Come Foscolo e Manzoni, il suo spessore filosofico è profondo, la sua lingua poetica giunge a vette non dimenticabili, l’acume spesso aspro della sua prosa è ancora capace di snudare con veemenza le molte mistificazioni della vita umana.

Non solo tutti i suoi temi sono molto moderni e parlano con vigore anche alle generazioni attuali, ma, soprattutto, ha colto alle origini dell’età moderna elementi il cui sviluppo s’intende pienamente solo nel secondo Ottocento e soprattutto nel Novecento.

È questo il cammino che abbiamo scelto, con la 5 L-C, di seguire per la nostra ricerca, chiedendoci chi fossero, nel difficile XX secolo, gli “eredi” di quel suo pensiero scomodo, di quella sua lucidità senza ritorni, di quella sua capacità di guardare a fondo il presente e i “costumi degli Italiani” con l’acume di un antropologo e di coglierne i limiti, l’effimero e le contraddizioni, di demistificare i falsi miti o i luoghi comuni del progresso e della felicità collettiva.

Siamo generati nel mondo per la morte, dice Leopardi con parole che paiono anticipare Heidegger: assumiamocene la consapevolezza, assumiamocene la responsabilità. Non vendiamo illusioni facili.

Dopo l’entusiasmo positivista, il Novecento apre un pensiero della crisi che, nella letteratura italiana, si esprime in  alcune figure emblematiche: Luigi Pirandello, durissimo critico della civiltà delle macchine, della società che ci costringe a maschere; Italo Svevo, la cui visione apocalittica è forse quella che di più, fra tutte, nega una qualsiasi possibilità di riscatto; Eugenio Montale, che dalla speranza in un “varco”, in una possibilità di salvezza offerta dalla civiltà contro la barbarie totalitaria (tra le Occasioni e la Bufera e altro) approda ad uno sguardo sarcastico e desolato su un mondo moderno massificato e informe nelle rime di Satura; lo stesso sguardo che spinge Pier Paolo Pasolini a scagliarsi con accanita indignazione contro l’omologazione culturale che, dopo gli States, invade l’Europa e l’Italia del boom.

Ma il lascito di Leopardi non è solo lo svelamento della crisi: il suo messaggio di resistenza fiera parla con la voce di Elio Vittorini, che dalle pagine magistrali del “Politecnico” incita a non arrendersi, a cercare una cultura non consolatoria ma combattiva, capace di agire nel mondo; una sorta di neoumanesimo che permea anche le pagine critiche di Italo Calvino, che studia quali forze e risorse, interiori e collettive, opporre al disfacimento del mondo contemporaneo, all’inferno in cui rischiamo di naufragare, al labirinto cui lanciamo una sfida.

Ecco gli “eredi” di Leopardi: coloro che, tra gli altri, hanno raccolto la sua parola tesa a costruire un’identità italiana non nel senso retorico o più ovvio del termine, bensì come costruzione di una coscienza critica fondata su una cultura profonda e condivisa, su una società “stretta” capace di elaborarla e di porla a fondamento di valori autentici, su una consapevolezza che la condizione umana impone la presa d’atto dell’infelicità e quindi il gesto, eroico, di accettare e opporre valori e solidarietà. In una parola, quella dignità umana di cui il grande recanatese denunciava con parole ora accorate ora graffianti la mancanza desolata nel nostro paese. Rossella D’Alfonso (docente di Lettere Liceo Fermi)

19/01/14

Dante Paradiso



GIUSEPPE LEDDA, DANTE E LA METAMORFOSI

Andrea Cortellessa: L'impossibilità della parola nel Paradiso (video di circa 14 min)



La terza cantica della Commedia racconta la parte conclusiva del viaggio di Dante nel regno degli angeli e beati. Esso è il regno della luce, simbolo della beatitudine e della spiritualità ma anche della gloria e della potenza di Dio.  Nell’ultimo canto il protagonista raggiunge il fine ultimo della sua impresa, ottenendo di poter contemplare la luce divina.
Il viaggio di Dante nell’aldilà si svolge nella settimana santa del 1300, tra il mezzogiorno della domenica di Pasqua e il mezzogiorno del Lunedì dell’Angelo.